Carla ha il collo lungo e gli occhi stretti come due linee nere, le spalle piccole e la pancia che spinge sull’elastico della gonna. Le sue gambe sono storte, non il classico ginocchio ad x, ma qualcosa che somiglia ad un varco tra due querce secolari, un grosso buco tondo delineato da due colonne torte innaturalmente. Ha i capelli scuri striati di bianco e del rosso di precedenti tinte. I denti piccoli e distanziati, le mani grosse come quelle di un muratore. Carla viene a casa e squittisce: si, no, davanti mia madre ed io la guardo estasiato mentre mia sorella ride e mio padre se ne sbatte, come fa del resto per tutto quel che mi riguarda. Dicono che sono in un’età critica, che faccio il bastian contrario che devo ancora trovare la mia strada, per questo tutte quelle che decido di prendere si rivelano dei vicoli ciechi. Carla mi chiama e chiede come va. La sua voce è come un sibilo, un soffio. Le vado vicino, l’abbraccio, sento i suoi seni pesanti sulla pancia e mi eccito. Mia sorella sghignazza e ci fotografa. Mia madre arriva trotterellando sui tacchi e ci distanzia. Scusalo, dice, scusa Carla è un ragazzo stupido e cattivo. Mi guarda quando sputa gli aggettivi dai denti, come piccole lame che schizzano tra i canini. Il suo sguardo non mi fa paura. IO sono innamorato. Lo dico. Mia madre se ne va mano nella mano con Carla, mentre mia sorella sia rotola sul pavimento mimando una pessima imitazione della mia voce e dei miei occhi. IO non faccio così. Io sono solo innamorato. Arriva mio padre e mi dice di smetterla. Ma è come quando mi ha parlato del sesso, delle droghe, dei comunisti, dei fascisti, della guida in stato di ebrezza, del voto, della scuola, delle malattie veneree, dei doveri di un buon cittadino, della malattia del nonno, di tutto quel che avrebbe avuto forse un poco d’importanza. Mio padre è depresso, o non so cosa, ma con me non riesce a parlare, non è capace, non mi guarda negli occhi, non gli interessa che io ascolti. Potrebbe parlare allo stesso modo ad un divano. Ed otterrebbe lo stesso risultato. Me ne vado mentre sento che definisce stancamente Carla “quella povera donna”. Stringo i pungi e le palpebre e vado in camera mia. Carla è fuori che lavora con mia madre in giardino. La mani sporche di terra, i piedi infagottati in quelle stupide ciabatte (non indossa mai le scarpe che le ho regalato), i capelli multicolore legati in un elastico da cancelleria, il sorriso dolce come quello di una bambina, innocente e chiaro come il sole che l’illumina. Mia madre m’ignora. Sa che sono alla finestra ma finge. Sono così diverse: mia madre è quel che dicono una gran bella donna, sono anni che i miei compagni mi chiedono come faccio ad abitarci senza avere pensieri strani, quegli stronzi,; ha un corpo da attrice, il viso delicato, dimostra vent’anni di meno ed è bionda naturale, almeno così dice sempre. Lei e Carla sembrano il giorno e la notte. A voi, sicuro che sembrerebbero così. Anche per me, ma in modo inverso. Non nascondo che la prima volta che vidi Carla pensavo ad altro ed ero distrutto da quel che mi aveva fatto D. Non mi colpii particolarmente, anzi. Poi una sera tornai a casa e lei mi preparò la cena. Mi carezzo la testa e sussurrò: bello, buono, buono, buono eh? Quel tre volte buono, quella carezza leggera come un battito di ciglia, lo sguardo fisso nel vuoto, la ciocca di capelli rossi che cascava dallo chignon. In un attimo cambiò tutto. Carla divenne per me indispensabile. Cercavo di starle vicino continuamente e le parlavo, chiedevo e ridevamo. Finché mia madre capì. Non ci volle molto. Quella donna è furba, è peggio di un detective della TV, è un segugio. Anche se non ci vuole un gran fiuto quando becchi tuo figlio che fa il bagno alla governante. Entrambi nudi. Uno dei due visibilmente eccitato. Carla sguazzava e sciacquettava come una bimba, fatevi due conti. Mi mandarono dalla psichiatra, una vecchia che mi prescrisse un ansiolitico e tanto sesso con le mie coetanee, disse. Coetanee. Ma chi? D. la stronza? NO grazie. Quella non è degna di baciare i piedi a Carla. Non è niente, non sa nulla, non capirà mai questi battiti veloci, l’aria che manca al solo vedere una gonna mal stirata, il sussulto per tre volte buono, non sa che cosa significa cercare negli occhi di qalcuno l’amore e trovarvi solo pianure, distese sconfinate di dolcissima, innocente, allegra inconsapevolezza ed essere felici per un tocco, un saluto, un bacio veloce e casto, un sorriso, le mani sporche di terra, le risate sul nulla, non potrà mai sapere, conoscere, capire che il niente appunto, il niente che ti tiene dolcemente, il nulla è semplice e nel semplice c’è tutto, sai che come l’acqua che scorre e lo sparire della nebbia attorno, che da ora mai più ombre, mai più dubbi, e vivi di questo amore che è intero e trasparente che è tutto limpido, tutto uguale, tutto come senti e vedi, tutto esattamente così com’è.

degas